Rabbia che cova, rabbia che scoppia

La rabbia: Il lato oscuro dell’esistenza

Da sempre gli esseri umani cercano di classificare i fenomeni della vita e del mondo per poter contenere la propria angoscia di fronte al lato oscuro dell’esistenza.
In particolare, il tema della rabbia e con essa la violenza che vi si collega e il principio di aggressione che la manifesta, è al centro di questa indagine che riguarda sempre più da vicino i singoli individui, la collettività, e la sopravvivenza dell’umanità intera.
Molte discipline e molti autori, cercano argomentazioni in grado di spiegare il fenomeno dell’aggressività sul piano individuale e sociale.

Infatti se la rabbia è una risposta così centrale nell’epoca attuale dobbiamo chiederci: Cosa sta accadendo ? Da cosa nasce la guerra di tutti contro tutti? Quanto è istintuale e quanto è appresa? Qual è la possibilità di questa epoca? Quali sono le forme macrocosmiche e microcosmiche della rabbia? Quali sono le responsabilità della tecnologia diffusa? Quanto resta delle relazioni umane oltre l’approccio virtuale? Quali forze dobbiamo sviluppare per affrontare il drago dentro e fuori di noi?

Freud parla dell’aggressività come istinto e la mette in relazione con l’istinto di morte presente in ognuno di noi. Adler la mette in relazione con l’istinto di potenza che tenderebbe a compensare un senso di inferiorità profondo. Per Jung il tema riguarda l’incontro con la propria parte ombra.
Chi procede verso se stesso, dice Jung, rischia l’incontro con se stesso e tale incontro è appunto l’ incontro con l’ombra. Possiamo ritrovare questi meccanismi sia nell’evoluzione dell’individuo che dell’umanità. Quando l’umanità incontra la propria ombra è l’incontro con il lato oscuro, con la violenza, l’odio, il tradimento, la morte. L’ombra è quella parte di noi stessi che non vogliamo vedere né accettare e che cerchiamo di allontanare da noi proiettandola sugli altri che divengono così i nemici.

L’ombra è un tema antico che troviamo in molte società espresso in varie immagini. Il termine “capro espiatorio” che è ormai entrato nell’uso del linguaggio comune, si riferiva inizialmente a un animale, spesso un caprone, a cui si attribuiva tutto ciò che era oscuro e malvagio. La “ caccia alle streghe”è un altra espressione significativa per caratterizzare tutte quelle situazioni in cui si perseguitano alcuni, per esorcizzare i fantasmi di altri. L’inquisizione, l’antisemitismo, l’apartheid, le guerre sante di tutte le epoche, la divisione in buoni e cattivi, per citare solo alcuni esempi, sono espressione della tendenza alla proiezione, che identifica un capro espiatorio e dà vita a una caccia alle streghe che trova la sua risoluzione nell’annientamento del nemico identificato e spessonell’appropriazione delle sue risorse.

Potremo dire che i tre livelli di analisi non si escludono, ma al contrario si integrano.
Nella rabbia infatti a un aspetto vitale-espansivo, si contrappone un aspetto distruttivo che riguarda l’istinto di morte di cui parla Freud. Di fatto questi aspetti appartengono alla zona oscura della nostra psiche o ombra come la definisce Jung e sul piano della manifestazione si realizzano in una reazione di potenza aggressiva che si sviluppa per compensare un senso profondo di insicurezza e vulnerabilità. La maggior parte delle persone cercano infatti un’identificazione con la ricchezza e gli aspetti vincenti della vita, perché l’alternativa è percepita come povertà, debolezza e assenza di potere.
La violenza e l’aggressività sono ancora patrimonio rilevante degli uomini poiché di fatto il riconoscimento della virilità passa attraverso l’affermazione prepotente di sé.
La guerra è ovviamente il livello più rozzo, pericoloso e primitivo del principio di Marte e fa emergere nell’essere umano gli aspetti più primitivi e brutali della personalità. Uccisioni, stupri, saccheggi, incendi, e torture divengono strumenti primari di comunicazione e generano il perpetuarsi della violenza.
Accanto ai nuovi conflitti internazionali, alla divisione tra buoni e cattivi, al dilagare di nuovi e vecchi terrorismi, ai moderni attentati suicidi, alle lotte per la supremazia militare ed economica, vi sono poi le piccole guerre locali, l’isolamento e l’emarginazione di fasce di popolazione, i conflitti sempre più duri e freddi della politica, i litigi che intasano i tribunali, la guerriglia urbana delle periferie, gli scontri e la violenza nella scuola e nelle famiglie.
Analogamente nel microcosmo famigliare ritroviamo troppo spesso questa insensatezza nella violenza coniugale, nei maltrattamenti e negli abusi sui minori che generano poi il perpetuarsi della violenza poiché dove la volontà viene spezzata, l’anima violentata e torturata, innesca il torturatore.
Tuttavia l’aggressività si presenta anche in forme meno appariscenti ma non meno drammatiche.
Quando nella coppia si rimuovono i conflitti questi tenderanno ad accumularsi. Ognuno dei partners non vuole cedere alla frustrazione e alla delusione delle sue aspettative di felicità. Ognuno metterà al primo posto la comprensione da parte dell’altro e finirà per ferire l’altro nel tentativo di appagare i suoi bisogni. L’aggressività a poco a poco impedisce la comunicazione che diviene duello verbale e poi scade nell’ingiuria e nella violenza esplosiva oppure si interiorizza e si condensa nel sentimento dell’odio freddo e lucido che cova nell’oscurità in attesa della vendetta.

Anche sul piano individuale la rabbia emerge soprattutto come conseguenza di un senso di impotenza percepito a volte come drammatico e definitivo e dalla conseguente frustrazione del bisogno di affermazione di sé. Se portiamo questo concetto alle estreme conseguenze, possiamo comprendere anche il legame tra rabbia e paura. La paura infatti riduce la visione e la ricerca di una possibilità di via d’uscita travolgendo l’individuo in un marasma di sensazioni paralizzanti. La conseguenza della paura percepita come rischio di annientamento sul piano fisico, psichico o spirituale può essere in questo caso un estrema reazione difensiva di tipo aggressivo o autoaggressivo.
La depressione in molti casi è un’inversione della rabbia ed è una risposta all’impossibilità di trovare una direzione alle proprie forze di desiderio. Quando la ferita è molto profonda e con essa il dolore e il senso di impotenza che ne derivano,questo può essere percepito come una minaccia all’integrità e alla sopravvivenza ed evolvere verso forme autodistruttive ove la paura e il dolore percepiti dall’anima frammentata esplodono in una sorta di aggressività devastante .Questo può spiegare alcuni fenomeni drammatici che si manifestano come follia omicida, o come suicidi, o alcune forme di insonnia in cui vi è un’impossibilità ad abbassare la soglia di vigilanza come estrema difesa dai contenuti minacciosi provenienti dall’inconscio. Un’aggressività che dilaga senza possibilità di canalizzazione e contenimento.
Perché ci spaventa la strage di Erba dove una coppia di persone dall’apparenza qualunque uccide in maniera premeditata i vicini di casa; perché restiamo senza fiato di fronte all’omicidio di Novi Ligure dove una ragazza di 15 anni appartenente ad una buona famiglia, uccide la madre e il fratellino. In entrambi questi episodi, la scena del delitto è un orrido mattatoio. Ma ciò che più colpisce e più angoscia forse, è il terreno su cui ha attecchito questo odio incontenibile.
Se possiamo riconoscere pur non accettandoli, gli orrori delle guerre disseminate nel mondo, diventa molto più inquietante chiederci se siamo del tutto immuni ai moti dell’animo che hanno provocato queste tragedie.
Negli anni successivi alla guerra del Kossovo, mentre mi dirigevo lungo una strada che portava al parco di Plitvice, nell’attuale Repubblica di Croazia, mi è capitato di attraversare una zona che sapevo abitata in precedenza da un enclave serba molto nutrita. Osservando le modeste villette disseminate in un paesaggio agricolo assolato e apparentemente composto, si notava che molte di queste portavano impressi, grandi buchi come ferite scomposte e quasi oscene. Porte spalancate in case disabitate, vetri rotti e buchi ovunque , grandi e piccoli proiettili di ogni tipo che hanno violato il quotidiano abitare invadendo con violenza un focolare divenuto nemico. Anche in quella situazione ciò che aveva reso spaventosa la guerra non era stato tanto il campo di battaglia quanto il tradimento dei vicini di casa, l’improvvisa rottura di una convivenza comunque consolidata da rituali condivisi, festività, legami.
Il disagio che queste immagini fanno risuonare in noi, rivela l’orrenda consapevolezza che non vi è immunità dall’odio e da certi moti dell’animo che possono determinare tragedie. Spesso ce ne rendiamo conto ascoltando il linguaggio violento a cui ci si abbandona quando veniamo sovrastati dalla rabbia impotente.Nelle diatribe famigliari, alla guida delle nostre automobili, nelle riunioni di lavoro. Le espressioni verbali della rabbia, tradiscono i nostri vissuti carichi d’odio.
In un articolo apparso su Repubblica dopo i fatti di Erba, Umberto Galimberti filosofo e scrittore, sostiene che ciò che impedisce agli esseri umani di passare dal linguaggio all’azione, è la dimensione sentimentale che registra in noi la differenza tra il bene e il male.
Quando nessuna risonanza emotiva avverte il nostro cuore della differenza tra un gesto innocuo e un gesto truce, allora siamo nella psicopatia, cioè in una psiche apatica, incapace di registrare a livello emotivo, la differenza tra ciò che è consentito e ciò che è aberrante per la nostra condizione umana.
Ammiriamo l’intelligenza dei nostri figli, le loro intuizioni, la loro simpatia, la capacità di affrontare il mondo, ma qualche volta non ci curiamo abbastanza della qualità dei sentimenti che in loro si forma.La difficoltà di “sentire” nel proprio cuore ciò che è buono e ciò che è cattivo, è una realtà sempre più presente nei nostri tempi. L’umano deve essere alimentato se vogliamo che continui ad operare altrimenti quando gli stimoli sono eccessivi rispetto alla capacità di elaborarli, restano solo due possibilità: o andare in angoscia o appiattire la propria psiche in modo che gli stimoli non abbiamo più alcuna risonanza. L’appiattimento del sentimento non è avvertito perché l’intelligenza non ne risente o addirittura se ne avvantaggia in termini di lucidità senza interferenze emotive. Possiamo quindi dire che l’intelligenza disancorata dal sentimento è potenzialmente distruttiva.

Negli animali i meccanismi aggressivi sono bilanciati dai meccanismi di inibizione. Nell’uomo tali meccanismi istintivi di inibizione non ci sono e vengono sostituiti dalle regole interne o esterne. In una società in cambiamento tali regole non sono più sufficienti a garantire l’ordine interno ed esterno. Si fanno accordi che poi non vengono rispettati. Si creano valori e principi che poi si abbandonano. E’ l’emergere del caos. L’aggressività libera crea la necessità di proteggersi in nuclei sociali ben caratterizzati siano essi il club esclusivo o la banda di strada e questo alimenta il circuito dell’intolleranza e di conseguenza della rabbia e della violenza.
Se a valle abbiamo la violenza come modello di soluzione dei conflitti, a monte abbiamo l’accumulo di forze rabbiose, come risposta all’impotenza, alla paura, al dolore.Di fronte alla frustrazione e all’impossibilità di ottenere qualcosa l’umanità adulta si muove ancora come il bambino che va in collera per ottenere ciò che non riesce ad avere. L’aggressività diviene una risposta a paure e tensioni che non si riescono a governare, un modo per allontanare la fonte del dispiacere. La propria violenza è presentata come necessaria e si autolegittima e questo meccanismo di autolegittimazione delle proprie ragioni, in assenza di un sentimento radicato del giusto e dell’ingiusto e di un sano senso di indignazione, si espande dagli ambiti astratti della politica e della cultura, alle manifestazioni più concrete dei rapporti quotidiani.

Il contenimento della rabbia, la sua manifestazione e la possibile trasformazione divengono così temi sempre più noti anche nelle relazioni quotidiane, per l’uomo e la donna di oggi. “Gestire” la rabbia nei rapporti famigliari, affettivi, sociali e professionali è diventata un’esigenza che crea templi dello “scarico”. Dalla palestra alla corsa fino alle forme più raffinate dello smaltimento emozionale.D’altra parte non possiamo limitarci ad andare in palestra dopo il lavoro per evitare di aggredire i nostri amici o i nostri famigliari all’uscita dalla scuola o dal lavoro.
E’ sempre più urgente saper discernere la qualità di queste forze, le dinamiche da cui si formano, ciò che dobbiamo riconoscere come valore e ciò che dobbiamo trasformare.
Nell’antichità un riferimento basilare per la classificazione dei fenomeni era dato dai pianeti e dalla qualità delle forze formatrici di cui erano il simbolo.
Il fuoco delle origini era identificato con il carattere di Marte Divinità della guerra. Ares Marte era considerato irascibile, rozzo e perfido. Ma anche “colui che entra a grandi passi” e quindi vivente, presente e fluttuante come il sangue. Nell’uso antico del termine, ’aggressione è infatti l’energia con la quale comincia ogni vita.In primavera, possiamo contemplare e gioire della potenza aggressiva di Marte che mette in moto il nuovo ciclo di crescita. Chi nella vita prende il toro per le corna o lotta per trovare una via d’uscita, sperimenta Marte. Violenza e brutalità sono forme secondarie e non necessarie, dell’aggressione come movimento vitale. Eraclito diceva che il conflitto è padre di tutte le cose. Il principio di Marte si esprime come appuntito, veloce, affilato, diretto, audace, ardente. Può essere positivo o negativo. Nell’uso moderno abbiamo essenzialmente un significato negativo.
Di fatto l’aggressione ha due facce: quella positiva dell’affermazione di se e quella negativa della violenza distruttiva.
Inoltre possiamo identificare un aggressione legata al principio maschile di Marte e un’aggressione legata al principio femminile di Plutone.
Plutone è il dio del regno dei morti che al termine della vita reclama le loro anime.Ade-Plutone rapì Kore figlia di Demetra , che diviene Persefone dea degli inferi.
L’aggressività plutonica è più nascosta, sotterranea e indiretta di quella marziale. Plutone è l’implosione, la guerra civile, la malattia autoimmune, il tumore, la metamorfosi.Marte è la battaglia, l’esplosione e l’infezione sul piano della malattia.

Compito della nostra epoca velata dal riflesso cupo dell’ombra, è forse quello di imparare a riconoscere le manifestazioni di questo aspetto distruttivo, per superarle e guarirle riconoscendo sia le forze terrene che quelle spirituali che operano in noi. Libertà e amore come forze che possono trasformare gli aspetti istintuali più bui che dimorano a vari livelli nei nostri animi.

1 comment on “Rabbia che cova, rabbia che scoppiaAdd yours →

  1. Così inizia il secondo paragrafo del racconto:
    “Da cosa nasce la guerra di tutti contro tutti”?
    Nasce dalle disuguaglianze sociali, culturali, economiche.
    Nasce da aspettative e speranze deluse, nasce dalle migliaia di ingiustizie: fiscali, giuridiche, amministrative che quotidianamente si frappongono tra noi ed il risultato sperato.
    Anche per le vicende più semplici: la fila interminabile al Pronto Soccorso dell’Ospedale, in un Ufficio Postale, all’ Azienda Sanitaria, in banca e ci sarebbero ancora migliaia di esempi.
    Senza dubbio, tutte o quasi tutte le motivazioni della rabbia sono indicate nel Sonetto n. 66 di William Shakespeare, ancora oggi di sconcertante attualità.

    Sonetto 66
    Stanco, alla morte domando la pace,
    vedo il merito viver da mendico,
    e sguazzare nel lusso l’incapace,
    e rinnegare il più fedele amico,
    e grandi onori ai disonesti dare,
    e Vergine Virtù, prostituita,
    e artigiani perfetti, diffamare,
    e Forza, da impotenti sminuita,
    e Arte dal potere silenziata,
    e Stupidi dettar legge all’ingegno,
    e ogni Verità manipolata,
    e il Degno, servitore dell’indegno.
    Ecco, è per questo che vorrei morire, ma lascerei il mio amor solo a soffrire.

    È una guerra che nasce dalla differenza tra il “promesso” ed il “percepito”: nella qualità, nella pubblicità, nel cibo o negli affari, come magnificamente testimonia Michael Douglas in: “Un giorno di ordinaria follia”.
    Non sono un Medico, né Psicoterapeuta e con grande fiducia (e con eccellenti risultati) mi sono affidato ai consigli della dott.ssa Lorenzi, ma su qualcosa si può dissentire.
    Nel primo racconto viene citato Jung:
    “Quando l’umanità incontra la propria ombra è l’incontro con il lato oscuro, con la violenza, l’odio, il tradimento, la morte”.
    Non ne sarei così sicuro: ombra può essere ignoto, ma un ignoto da esplorare, non da temere, fiduciosi delle proprie possibilità e dell’aiuto altrui.
    Può essere un percorso di crescita, di ricerca e di sviluppo.
    Perché necessariamente ombra deve essere uguale a violenza, odio, tradimento?
    L’ombra porta refrigerio per chi giace sotto un albero, accarezzato da una leggera brezza: perché dietro l’angolo, al proiettarsi di un’ombra, vogliamo sempre vedere un nemico, una minaccia?
    Molte volte può essere un’opportunità.
    E non dobbiamo nemmeno vedere la morte, almeno per coloro che, credenti, vedono invece non un’ombra, ma la luce splendente della resurrezione.
    Soltanto poche parole sull’accenno che nell’articolo viene fatto alla strada che porta al bellissimo Parco Nazionale di Plitvice.
    Scrive la nostra dottoressa: “Porte spalancate in case disabitate, vetri rotti e buchi ovunque, grandi e piccoli proiettili di ogni tipo che hanno violato il quotidiano abitare invadendo con violenza un focolare divenuto nemico”.
    Commento: “Nihil sub sole novi”, come scrive la Bibbia.
    Non occorreva andare fino in Croazia, bastava fare due passi per Trieste, dove in molti luoghi sono ancora presenti i segni della occupazione delle truppe titine e dei nostri morti: in via Imbriani il 5 maggio 1945, con il selciato crivellato di colpi.
    Bombardato e mitragliato fu il Municipio, come scrive Daniela Picamus in “Trieste 1945. Una città ferita”: ai piedi del palazzo, colpito in pieno, s’accumula il pietrame – balaustre, cariatidi, capitelli – schiantato dai proiettili e sbriciolatosi al suolo. (p. 40). Poi, la Prefettura, la Chiesa di Notre-Dame de Sion, via Battisti, Piazza Hortis, Piazza della Borsa, Via San Michele e molte, molte altre tracce di follia.
    Ma, come molte altre storie, anche “Rabbia che cova …” ha un lieto fine.
    Scrive la dott.ssa Lorenzi: “Libertà e amore come forze che possono trasformare gli aspetti istintuali più bui…”.
    Aggiungerei anche: tolleranza, altruismo, pazienza e rispetto per il prossimo.

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